《达芬奇密码》第八章(一)
8 Langdon non riusciva a staccare lo sguardo dalle lettere rosse fosfore-scenti tracciate sul pavimento. L'ultima comunicazione di Jacques Sauniè-re era il più improbabile messaggio d'addio che lo studioso potesse imma-ginare. Il messaggio diceva:
13-3-2-21-1-1-8-5
O, Draconian devil!
Oh, lame saint!
Anche se Langdon non aveva la minima idea del significato, comprese perché Fache avesse pensato al pentacolo come a qualcosa di legato al cul-to del diavolo.
"O, Draconian devil!" O, diavolo draconiano!
Saunière aveva effettivamente lasciato un riferimento al diavolo. Altret-tanto bizzarra era la serie di numeri. «In parte sembra un cifrario numeri-co.»
«Sì» disse Fache. «I nostri crittologi stanno già lavorando su quei nume-ri. Crediamo che siano la chiave per portarci a chi lo ha ucciso. Forse una telefonata o qualche tipo di codice di riconoscimento. I numeri hanno qualche significato simbolico per lei?»
Langdon guardò di nuovo quelle cifre e la sua impressione fu che gli sa-rebbero occorse parecchie ore per cavarne qualche significato simbolico. "Sempre che Saunière ve ne abbia inserito qualcuno." Al suo occhio i nu-meri parevano disposti completamente a caso. Era abituato a successioni simboliche che avevano una qualche apparenza di senso, ma tutti quegli elementi — il pentacolo, il testo, i numeri — parevano scelti com-pletamente a casaccio.
«Lei sosteneva in precedenza» riprese Fache «che le azioni compiute da Saunière prima di morire avevano lo scopo di trasmettere qualche sorta di
messaggio. Il culto della dea o qualcosa del genere. Come vi si inserisce questo messaggio?»
Langdon sapeva che si trattava di una domanda retorica. Quel bizzarro messaggio, ovviamente, non aveva alcun rapporto con lo scenario imma-ginato da lui e relativo al culto della dea.
"O, Draconian devil? Oh, lame saint?" Oh diavolo draconiano? Oh san-to zoppicante?
Fache osservò: «Questo testo sembrerebbe un'accusa di qualche tipo, non è d'accordo?».
Langdon cercò di immaginare gli ultimi minuti del curatore intrappolato nella Grande Galleria, con la coscienza di dover morire. Pareva logico. «Un'accusa contro l'assassino avrebbe senso, mi pare.»
«Il mio compito, naturalmente, è di dare un nome a quella persona. Mi permetta di chiederle una cosa, signor Langdon. Secondo lei, a parte i nu-meri, qual è l'aspetto più strano del messaggio?»
"L'aspetto più strano?" Un uomo in punto di morte si era chiuso nella galleria, si era disegnato un pentacolo sulla pancia e aveva scritto sul pa-vimento una misteriosa accusa. Fache avrebbe fatto più in fretta a chieder-gli che cosa non era strano in tutta quella situazione. «La parola "draconia-no"?» azzardò, dicendo la prima cosa che gli veniva in mente. Langdon era abbastanza certo che un riferimento a Dracone, lo spietato politico greco del settimo secolo prima di Cristo, fosse un pensiero alquanto improbabile per un uomo in punto di morte. «"Diavolo draconiano" mi pare una strana scelta di parole.»
«Draconiano?» ripeté Fache, in tono visibilmente seccato. «Non mi sembra che la stranezza principale, qui, stia nelle singole parole scelte da Saunière.»
Langdon non capiva che cosa Fache avesse in mente, ma cominciava a pensare che lui e Dracone condividessero molte idee.
«Saunière era un francese» disse Fache. «Abitava a Parigi. Eppure, do-vendo scrivere il messaggio...»
«L'ha scritto in inglese» terminò lo studioso, che solo ora capiva che co-sa intendesse dire il capitano.
Fache annuì. «Précisément. Qualche idea del motivo?»
Langdon sapeva che Saunière parlava un inglese impeccabile; tuttavia, neanche lui riusciva a capire il motivo di quella scelta. Si strinse nelle spal-le.
Fache indicò di nuovo il pentacolo sull'addome di Saunière. «Niente a
che vedere con il culto del diavolo? Ne è sempre sicuro?»
Langdon non era più sicuro di nulla. «Simboli e testo non mi paiono cor-rispondere. Mi spiace di non poterle essere di molto aiuto.»
«Forse questo potrà offrirle qualche chiarimento.» Fache indietreggiò e sollevò la lampada a luce nera illuminando un'area più vasta. «E adesso?»
Con stupore di Langdon comparve attorno al corpo del curatore un cer-chio approssimativo. A quanto pareva, Saunière si era disteso sul pavimen-to e aveva tracciato alcuni lunghi archi attorno a sé, col risultato di inscri-vere il proprio corpo all'interno di un cerchio.
In un istante, il significato divenne chiaro.
«L'Uomo vitruviano» mormorò lo studioso. Saunière aveva ricreato una copia formato naturale del più famoso disegno di Leonardo da Vinci.
Ritenuto il più corretto disegno anatomico della sua epoca, l'Uomo vi-truviano era diventato una delle moderne icone della cultura e veniva stampato su manifesti, copertine di libri e T-shirt in tutto il mondo. Il fa-moso disegno era costituito di un cerchio perfetto con inscritto un corpo nudo maschile, le braccia tese lateralmente e le gambe divaricate.
"Leonardo da Vinci." Langdon sentì un brivido di stupore. Adesso le in-tenzioni di Saunière erano perfettamente chiare. Nei suoi ultimi istanti di vita, il curatore si era spogliato e si era posizionato in modo da costituire una chiara riproduzione dell'Uomo vitruviano.
Il cerchio era l'elemento cruciale che gli era mancato fino a quel momen-to. Simbolo femminile di protezione, il cerchio attorno al corpo nudo del-l'uomo completava il messaggio di Leonardo, l'armonia di maschio e fem-mina. A quel punto, però, la domanda era: perché Saunière aveva voluto imitare un disegno famoso?
«Signor Langdon» disse Fache «certamente un uomo come lei non igno-ra che Leonardo da Vinci aveva una propensione per le arti più tenebrose.»
Langdon non si aspettava che Fache conoscesse così bene Leonardo, ma l'osservazione contribuiva a spiegare i sospetti del capitano sul culto del diavolo. Leonardo da Vinci era sempre stato un argomento imbarazzante per gli storici, soprattutto quelli di tradizione cristiana. Nonostante il suo genio visionario, era un omosessuale dichiarato e un adoratore del divino ordine della natura, due caratteristiche che lo ponevano costantemente in stato di peccato contro Dio. Inoltre, le bizzarrie dell'artista proiettavano su di lui un'aura chiaramente demoniaca: Leonardo esumava i cadaveri per studiare l'anatomia umana; teneva misteriosi diari scritti in calligrafia in-vertita che risultavano illeggibili; credeva di possedere il potere alchemico
di trasformare il piombo in oro e anche di poter ingannare Dio creando un elisir che allontanava la morte; inoltre, le sue invenzioni comprendevano orrendi, mai prima immaginati, strumenti di guerra e di tortura.
"L'ignoranza genera diffidenza" pensò Langdon.
Anche la grande produzione di capolavori d'arte di argomento religioso aveva finito soltanto per alimentare la reputazione di ipocrisia spirituale dell'artista. Accettando centinaia di ricche commissioni da parte della Chiesa, Leonardo dipingeva I suoi soggetti cristiani non per manifestare la propria fede, ma per motivi puramente venali: erano il mezzo che gli per-metteva di condurre una vita dispendiosa. Purtroppo Leonardo era uno spi-rito bizzarro che spesso si divertiva a mordere la mano che lo alimentava. In molti dei suoi quadri cristiani aveva inserito simbolismi nascosti che non erano affatto cristiani, come tributo alle proprie convinzioni e come sottile presa in giro della Chiesa. Langdon aveva persino tenuto una confe-renza, alla National Gallery di Londra, sull'argomento: "La vita segreta di Leonardo: simbolismo pagano nell'arte cristiana".
«Comprendo la sua preoccupazione» rispose quindi «ma Leonardo da Vinci non ha mai realmente praticato la magia nera. Era un uomo di eleva-tissima spiritualità, anche se era in costante conflitto con la Chiesa.» Nel dirlo, una strana idea gli passò per la mente. Diede un'altra occhiata alla scritta sul pavimento. "O, Draconian devil! Oh, lame saint!"
«Sì?» chiese Fache.
Langdon soppesò attentamente le parole. «Pensavo che Saunière condi-videva con Leonardo gran parte delle ideologie spirituali, compresa la pre-occupazione perché la Chiesa ha eliminato il femminino sacro dalla reli-gione moderna. Forse, imitando un famoso disegno di Leonardo da Vinci, Saunière voleva semplicemente dare eco alla loro comune frustrazione per la demonizzazione della dea da parte della Chiesa moderna.»
Fache socchiuse gli occhi. «Pensa che Saunière abbia voluto chiamare la Chiesa un santo zoppicante e un diavolo draconiano?»
A Langdon parve una conclusione un po' azzardata, ma il pentacolo pa-reva avallare in un certo modo quella conclusione. «Dico solo che il signor Saunière ha dedicato la vita a studiare la storia della dea e chi si è dato maggiormente da fare per cancellare quella storia è la Chiesa cattolica. Può darsi che Saunière, nel suo addio, abbia voluto esprimere la sua delusio-ne.»
«Delusione?» chiese Fache, in tono decisamente ostile. «Questo mes-saggio suona più incollerito che deluso, non le pare?»
Langdon aveva ormai dato fondo a tutta la sua pazienza. «Capitano, lei mi ha chiesto le mie impressioni su quello che Saunière ha voluto dire, e io gliele ho dette.»
«Lei sostiene dunque che questa è un'accusa contro la Chiesa?» chiese Fache, parlando a denti stretti. «Signor Langdon, nel mio lavoro ho visto un mucchio di morti e lasci che le dica una cosa. Quando un uomo è assas-sinato da un altro uomo, non credo che i suoi ultimi pensieri lo portino a scrivere misteriose affermazioni spirituali che nessuno è in grado di capire. Per me, pensa solo a una cosa.» Il sussurro di Fache parve tagliare l'aria. «La vengeance. Pensa solo alla vendetta. Credo che Saunière abbia scritto questo messaggio per indicarci il suo assassino.»
Langdon lo fissò. «Ma tutto ciò non ha senso.»
«No?»
«No» ripeté, stanco e frustrato. «Mi ha detto che Saunière è stato assalito nel suo ufficio da una persona che, a quanto pare, lui aveva invitato a en-trare.»
«Sì.»
«Perciò pare ragionevole concludere che il curatore conoscesse il suo aggressore.»
Fache annuì. «Vada avanti.»
«Perciò, se Saunière conosceva la persona che l'ha ucciso, che razza di indizio è questo?» Indicò il pavimento. «Codici numerici? Santi azzoppati? Diavoli draconiani? Pentacoli sullo stomaco? È troppo enigmatico.»
Fache aggrottò la fronte come se l'idea non gli fosse mai affiorata alla mente. «Non so come darle torto.»
«Considerate le circostanze» continuò lo studioso «penserei che se Sau-nière avesse voluto far sapere chi l'ha ucciso, non avrebbe scritto questi in-dovinelli, ma il nome dell'assassino.»
Mentre Langdon parlava, un sorriso di soddisfazione comparve sulle labbra di Fache, per la prima volta in quella notte. «Précisément» disse il capitano. «Précisément.»
"Sto assistendo al lavoro di un maestro" pensava il tenente Collet mentre regolava le manopole del radioregistratore e ascoltava la voce di Fache che gli giungeva dagli auricolari. L'agent supérieur sapeva che erano stati momenti come quello a portare il capitano in cima alla polizia francese. "Fache è capace di riuscire dove nessuno oserebbe avventurarsi."
L'arte delicata del cajoler, del lusingare gli indiziati per farli confessare,
si era perduta nel moderno esercizio della legge, perché richiedeva un'ec-cezionale calma in momenti di grande pressione. Pochi possedevano il sangue freddo necessario per quel tipo di operazione, ma Fache sembrava nato per essa. La sua calma e la sua pazienza sembravano quelle di una macchina.
La sola emozione mostrata da Fache quella notte pareva limitarsi a una decisa risolutezza, come se quell'arresto fosse qualcosa di personale per lui. Le istruzioni date da Fache ai suoi agenti, un'ora prima, erano state stranamente brevi e perentorie. "So chi ha ucciso Jacques Saunière" aveva detto Fache. "Sapete cosa fare, questa notte non dovranno esserci errori."
E fino a quel momento non ce n'erano stati.
Collet non conosceva ancora la prova che aveva convinto Fache della colpevolezza del suo indiziato, ma non intendeva certamente mettere in dubbio gli istinti del Toro. A volte il sesto senso di Fache sembrava quasi sovrannaturale. "Dio gli parla all'orecchio" aveva detto un agente, dopo u-n'impressionante dimostrazione delle doti istintive del capitano. E Collet doveva ammettere che se Dio esisteva davvero, Bezu Fache doveva essere nella lista dei suoi benemeriti. Il capitano si accostava alla messa e alla comunione con una zelante assiduità che andava ben oltre la consueta os-servanza della funzione domenicale, praticata dagli altri agenti per mante-nere buone relazioni con la comunità. Quando il papa era stato in visita a Parigi, qualche anno prima, Fache aveva usato tutto il suo ascendente per ottenere un'udienza. Una foto di Fache con il papa era adesso appesa nel suo ufficio. Gli agenti, tra di loro, la chiamavano "il Toro papale".
Collet trovava bizzarro che una delle rare dichiarazioni pubbliche di Fa-che degli ultimi anni fosse stata la sua immediata reazione alle notizie del-lo scandalo per gli episodi di pedofilia nell'ambiente della Chiesa. "Quei preti dovrebbero essere impiccati due volte" aveva dichiarato Fache. "Una per i loro crimini contro i bambini, e un'altra per avere infangato il buon nome della Chiesa cattolica." Collet aveva l'impressione che la seconda ra-gione fosse quella che destava maggiormente la collera del suo superiore.
Tornò a osservare il computer portatile per occuparsi del suo secondo incarico di quella notte: il sistema satellitare di localizzazione. L'immagine sullo schermo mostrava la piantina dell'ala Denon, uno schema digitale che si era fatto dare dalla sicurezza del Louvre. Seguendo il labirinto di corri-doi e di sale, Collet trovò facilmente ciò che cercava. Nel cuore della Grande Galleria ammiccava una minuscola luce rossa.
La marque.
Fache teneva la preda con un guinzaglio molto corto, quella notte, e fa-ceva bene, perché Robert Langdon si era dimostrato un osso molto duro.
[1][2]
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